Avvocati, cfo e commercialisti, antenne per le crisi aziendali

PeR consulting su MAG by FinanceCommunity n. 75 del 27 febbraio 2017.
Rassegna Stampa | 27 Febbraio 2017
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Con la nuova legge si passerà dal fallimento alla liquidazione giudiziale. Massima attenzione alla prevenzione. Un sistema di allerta e analisi dei campanelli d’allarme dall’abolizione della parola “fallimento” in favore di “liquidazione giudiziale” fino a un processo semplificato per l’accertamento dello stato di crisi o di insolvenza. Il ddl delega al governo per la nuova riforma fallimentare, approvato a inizio febbraio alla Camera, ha l’obiettivo di modernizzare la gestione della crisi aziendale e di aiutare le imprese in crisi ad assicurare la continuità del business. Un passo significativo, soprattutto se si pensa che nonostante sia in diminuzione rispetto al 2014, il numero dei fallimenti delle imprese italiane resta elevato: da inizio anno sono fallite 10.047 attività, una media di 52 chiusure al giorno stando ai dati di Cribis.

Se il ddl dovesse passare così com’è dopo il vaglio del Senato, le cose, almeno nelle intenzioni del legislatore, dovrebbero migliorare. Fra gli elementi più innovativi, infatti, il testo dà una maggiore attenzione alla prevenzione e offre degli strumenti per anticipare la crisi d’impresa. Si tratta dell’allerta preventiva, un sistema dedicato a piccole e medie aziende non quotate che può essere attivato direttamente dal debitore o d’ufficio dal tribunale su segnalazione (obbligatoria per fisco e Inps) e diretto a un apposito organismo di composizione della crisi all’interno delle Camere di commercio. A dimostrazione del fatto che alcuni campanelli d’allarme esistono e che possono essere fondamentali per anticipare la crisi e prevenire il disastro. A coglierli dovrebbero essere però anche i consulenti e i professionisti che lavorano con l’imprenditore.

CONSULENTI ALL’ERTA

Ma quali sono questi professionisti? Come spiegano Valentina Roggiani e Lorena Ponti della società di consulenza nella gestione della crisi aziendale PeR Consulting, «parliamo di commercialisti e avvocati, ma anche di chi svolge funzioni importanti come il recupero crediti». Questi ultimi ad esempio «potrebbero accorgersi subito se la massa delle posizioni scoperte aumenta: un chiaro segnale che c’è qualcosa che non va e che bisogna agire per sollecitare il pagamento», osservano. Come spiega Roberto Scibetta, dello studio Pomara Scibetta & Partners, «il commercialista è sicuramente una delle figure più vicine all’azienda e una di quelle che può capire i segnali di una crisi, ma come questo si traduca poi a livello pratico dipende dal ruolo che svolge, se consulente o sindaco». Nel primo caso, «il bravo professionista è subito in grado di cogliere i primi segnali di una crisi, che spesso sono legati a un tentativo dell’imprenditore di posticipare il versamento di determinate imposte poiché è a corto di liquidità». Ad esempio «se il cliente chiede di continuo al professionista di calcolare il cosiddetto “ravvedimento operoso” (sanzioni e interessi per il ritardato versamento delle imposte) per assolvere con sistematico ritardo le imposte dovute e quindi cercando di posticiparne il pagamento, è un evidente segnale che l’azienda è in una situazione di crisi di liquidità». Se invece il commercialista svolge il ruolo di sindaco «è meno a contatto con l’azienda e quindi può essere meno semplice per lui cogliere i giusti allarmi», osserva Scibetta, «quindi deve essere il professionista stesso che deve fare le giuste domande e svolgere i dovuti controlli, ad esempio verificando analiticamente la posizione finanziaria netta dell’impresa, lo scadenziario dei clienti e dei fornitori e – nuovamente – il periodico e puntuale versamento delle imposte nette dirette e indirette». Allo stesso modo, evidenzia Andrea Pietrini, fondatore di YourCfo Consulting Group, che lo scorso 9 febbraio ha organizzato a Milano un convegno proprio sul tema, «un ruolo importante è quello del direttore finanziario, prima di tutto perché è colui che è in grado di interpretare i segnali dati dai numeri e quindi di capire la situazione dell’impresa, e in secondo luogo perché traduce questi numeri in un’azione strategica e in una pianificazione industriale fondamentale per i futuri passi dell’azienda». Ciò è ancora più importante, sottolinea, in una situazione di crisi, nella quale «il cfo svolge spesso un ruolo di mediatore tra le banche creditrici e l’imprenditore».

Certo è che per svolgere questo compito i professionisti devono avere «un’approfondita conoscenza dell’organizzazione e delle procedure aziendali, se non vivi l’azienda non puoi comprenderne le dinamiche, nonché una sensibilità ai numeri attuali e futuri», evidenzia Pietrini.

OCCHIO AI FLUSSI

È proprio osservando i numeri che la crisi può essere prevista, oltre che risanata. Come spiegano Roggiani e Ponti, «quando l’azienda non è in condizioni di salute i sintomi sono quasi sempre molto evidenti se si dispone di un budget puntuale e aggiornato. Ad esempio, quando il budget e il reporting sono puntualmente smentiti perché poco affidabili, e i flussi di cassa non sono sufficienti rispetto alle spese, le criticità emergono subito». Ma non solo, un’allerta può esserci se l’azienda si trova a cercare continuamente nuova finanza, se la maggior parte dei crediti non sono stati recuperati o se, ad esempio, i fornitori iniziano a chiedere un pagamento anticipato, segno della scarsa fiducia nei confronti dell’azienda».

I contrasti interni possono rappresentare anch’essi un codice rosso: «Anche colti questi segnali, spesso l’imprenditore tende a minimizzare la situazione e a cercare di andare avanti con la propria attività. Ciò può provocare contrasti all’interno del consiglio di amministrazione o un turnover frequente nelle prime linee manageriali». Ciò accade soprattutto nelle aziende padronali, «in cui l’imprenditore, che è anche manager, ha sempre l’ultima parola». In questo contesto, secondo le professioniste, il primo passo di prevenzione «dovrebbe consistere nel diffondere la cultura della crisi e far capire che è una fase naturale della vita dell’azienda e che agire tempestivamente, esattamente come quando si fa un check up, è fondamentale». Perché, come sottolinea Scibetta, «la maggior parte degli imprenditori pensa che uno squilibrio dei conti sia temporaneo e difficilmente si accorge che invece la crisi è molto più radicata». Quanto alla riforma e all’introduzione dell’allerta, per Scibetta «è positiva se utile per una sensibilizzazione di quei professionisti che ancora non svolgono questo tipo di attività, anche se occorre evitare che tutta la responsabilità vada a finire sulle spalle del commercialista» (Laura Morelli).

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